In base alle stime della Società Italiana Riproduzione Umana (SIRU), i trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita non effettuati nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 a causa della pandemia di COVID-19 condurranno a circa 4500 nascite in meno.

Secondo il recente studio “Prioritizing IVF treatment in the post-COVID 19 era: a predictive modelling study based on UK national data” condotto su circa 10.000 cicli, ritardare di sei mesi l’inizio dei trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita provoca una significativa riduzione delle probabilità di ottenere una gravidanza. Tale abbassamento delle chance di successo si rivela ancora più marcato tanto più l’età della donna è avanzata, o nel caso in cui la paziente presenti una causa nota e obiettiva di infertilità.

Al contrario, nelle coppie con infertilità idiopatica (ossia inspiegata), la riduzione del tasso di successo risulta più contenuta e compensata dalla possibilità di gravidanza spontanea nell’arco dei sei mesi di attesa per la PMA.

Gli effetti del Coronavirus sull’apparato riproduttivo femminile e maschile e la possibilità di contagio del feto

Sebbene all’inizio dell’emergenza Coronavirus gli effetti che la pandemia avrebbe avuto sulla salute riproduttiva maschile e femminile fossero del tutto sconosciuti, le ricerche condotte nel corso dell’ultimo anno hanno chiarito le possibili ripercussione del COVID-19 sull’apparato riproduttivo e sulla sua trasmissibilità per via sessuale.

Per quanto riguarda l’uomo, non è stata rilevata alcuna presenza di virus nella sua forma infettiva nel liquido seminale, suggerendo dunque l’assenza di trasmissione virale sia nella fase di contatto sessuale che di PMA. Tuttavia, mostrando il SARS-CoV-2 una sorta di trofismo per il tessuto testicolare e l’epididimo, ai pazienti positivi è sempre suggerito un follow-up della funzione endocrinologica e riproduttiva negli anni a seguire.

Per quanto riguarda la donna, esiste un rischio teorico di infezione dell’apparato riproduttivo. Tuttavia, uno studio condotto da Clinica Eugin su due pazienti positive e pubblicato nel settembre 2020 sulla rivista scientifica Human Reproduction ha evidenziato la totale assenza di tracce di virus nei gameti.

Per quanto riguarda infine la trasmissione verticale del virus durante la gravidanza, ossia la possibilità di contagio del feto, la ricerca italiana “Analysis of SARS-CoV-2 vertical transmission during pregnancy” condotta nell’ottobre 2020 ha analizzato in maniera seriata gravidanze positive al COVID-19, evidenziando solo rari casi di sieroconversione fetale endouterina. Questo significa che le principali società scientifiche internazionali sono concordi nell’affermare che la trasmissione verticale del virus, seppur possibile, sia un evento non comune.

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