Molte donne che portano a termine la gravidanza dopo aver intrapreso un percorso di ovodonazione condividono la stessa domanda, semplice ma profonda: Perché il mio bambino mi somiglia?
È un dubbio naturale, legato al desiderio di riconoscere nella nuova vita un tratto di continuità con sé stesse. Oggi la scienza ci offre una risposta: la somiglianza non dipende solo dal DNA. Grazie all’epigenetica – la disciplina che studia come l’ambiente uterino e i segnali materni influenzano l’espressione dei geni – sappiamo infatti che la madre svolge un ruolo attivo nello sviluppo del bambino fin dalle primissime fasi del concepimento.
Sommario
- 1 Il ruolo dell’epigenetica nella PMA e nello sviluppo del bambino
- 2 Dall’impianto alla nascita: come la mamma influenza il bambino anche senza condivisione genetica
- 3 Somiglianza e ovodonazione: cosa dice la scienza oggi?
- 4 Il matching tra paziente e donatrice: come funziona?
- 5 La somiglianza: un concetto complesso
- 6 Ovodonazione oggi: quante coppie vi ricorrono e perché
Il ruolo dell’epigenetica nella PMA e nello sviluppo del bambino
Nell’ovodonazione, l’epigenetica è uno dei punti chiave per comprendere perché il legame tra mamma e bambino sia profondo e biologicamente attivo ben oltre il DNA.
Dopo l’impianto e durante la gravidanza, il corpo materno invia continuamente segnali biochimici all’embrione: nutrienti, molecole regolatrici, ormoni, informazioni ambientali. Tutto questo può influenzare lo sviluppo del nascituro, contribuendo a determinare aspetti legati al benessere, alla salute futura e, talvolta, persino a caratteristiche osservabili alla nascita.
Cos’è l’epigenetica?
L’epigenetica è la disciplina che studia come alcuni fattori esterni – come l’ambiente uterino, la nutrizione, lo stile di vita o lo stress – possano modulare l’espressione dei geni senza modificarne la sequenza. In altre parole, il DNA non cambia, ma può essere “letto” in modo diverso in base ai segnali che l’organismo riceve.
In sintesi:
- L’epigenetica modifica l’attivazione o la disattivazione di specifici geni, influenzando funzioni biologiche come lo sviluppo del sistema nervoso, il metabolismo, la crescita cellulare, il comportamento e alcuni tratti fisici.
- L’epigenetica non modifica la sequenza genetica ereditaria. Il patrimonio genetico della donatrice rimane invariato, ma la madre che porta avanti la gravidanza contribuisce a orientarne l’espressione attraverso il proprio ambiente biologico.
Dall’impianto alla nascita: come la mamma influenza il bambino anche senza condivisione genetica
Fin dal momento dell’impianto, il corpo materno diventa l’ambiente in cui l’embrione cresce, si nutre e riceve segnali fondamentali per il suo sviluppo. Anche quando la gravidanza è il risultato dell’ovodonazione, la madre svolge un ruolo attivo e determinante: ogni scelta, ogni abitudine e ogni condizione fisiologica contribuiscono infatti a modellare l’espressione dei geni ereditati dalla donatrice.
L’ambiente uterino
L’utero non è un semplice “contenitore”, ma un ecosistema dinamico che accompagna l’embrione in tutte le fasi della crescita. Diversi fattori concorrono a creare questo ambiente unico:
- Dieta, stile di vita ed esposizioni ambientali: gli elementi nutritivi assunti quotidianamente, l’attività fisica, il riposo e l’esposizione a sostanze esterne forniscono segnali che possono influenzare l’attivazione di specifici geni.
- Sistema immunitario materno: il sistema immunitario svolge un ruolo centrale nell’accoglienza dell’embrione e nella modulazione del suo sviluppo. Una risposta immunitaria equilibrata favorisce un ambiente uterino stabile e protettivo.
- Nutrimento e trasporto di molecole: attraverso la placenta, la madre trasferisce nutrienti, ormoni e molecole regolatrici che guidano la crescita cellulare e lo sviluppo degli organi.
- Regolazione dell’espressione genica: tutti questi segnali contribuiscono a determinare quali geni rimangono attivi, quali vengono silenziati e in che misura il bambino manifesta determinate caratteristiche.
Le prime interazioni biologiche tra mamma ed embrione
Durante i primi giorni e le prime settimane dall’impianto, si stabilisce un fitto scambio di informazioni tra il corpo materno e l’embrione.
- Segnali biochimici costanti: ormoni, citochine e molecole regolatrici attraversano la placenta e orientano l’espressione genica del feto, influenzando non solo la crescita fisica, ma anche lo sviluppo metabolico e immunitario.
- Il ruolo dello stress materno: anche lo stress, attraverso la variazione dei livelli di cortisolo, può incidere sulla maturazione del sistema nervoso e sul benessere generale del bambino. Un ambiente emotivo sereno favorisce una risposta fetale più equilibrata.
- Impatto sullo sviluppo neurocognitivo: alcune ricerche suggeriscono che i segnali provenienti dalla madre nelle prime fasi possano addirittura contribuire allo sviluppo di capacità cognitive, regolazione emotiva e pattern comportamentali del nascere.
I “primi 1000 giorni”
I cosiddetti “primi 1000 giorni” – ossia quelli che vanno dal concepimento ai due anni di vita – sono una delle finestre più critiche e sensibili dello sviluppo umano. In questo periodo si definiscono infatti la struttura di organi e apparati, le basi del sistema nervoso, la risposta immunitaria e la predisposizione metabolica del bambino.
In pratica, l’ambiente materno e le prime esperienze di vita possono lasciare una “firma epigenetica” duratura, influenzando la salute futura del bambino anche in età adulta.
Somiglianza e ovodonazione: cosa dice la scienza oggi?
La domanda sulla somiglianza è legittima, ma è importante chiarire un punto: non esiste alcun test di laboratorio in grado di misurare l’impatto epigenetico della madre sul bambino. Non possiamo quindi quantificare “quanto” un tratto fisico o comportamentale derivi dall’ambiente uterino.
Tuttavia, la ricerca scientifica accumula evidenze sempre più solide sul ruolo attivo della madre nella modulazione dell’espressione genica del nascituro, anche quando non è presente una condivisione del patrimonio genetico.
Le osservazioni dei ricercatori convergono tutte verso un quadro molto chiaro: la madre che porta avanti la gravidanza contribuisce in modo attivo, continuo e biologicamente significativo allo sviluppo del bambino, indipendentemente dall’origine degli ovociti. La somiglianza è quindi il risultato di un dialogo complesso tra geni ed ambiente, in cui l’utero materno e le condizioni della gravidanza giocano un ruolo determinante.
Il matching tra paziente e donatrice: come funziona?
Il processo di selezione della donatrice è uno dei passaggi più rigorosi e controllati dell’ovodonazione. L’obiettivo è assicurare alla paziente massima sicurezza medica, compatibilità fenotipica e pieno rispetto delle normative vigenti. Ogni scelta avviene nel quadro di protocolli clinici precisi, senza spazio per l’improvvisazione o l’intuizione personale.
Criteri di selezione
Il matching si basa su una serie di criteri oggettivi e verificabili:
- Fenotipo: gli specialisti selezionano una donatrice con caratteristiche fisiche comparabili a quelle della paziente: etnia, colore della pelle, tratti del viso, struttura generale. Viene inoltre scelto un gruppo sanguigno concordante.
- Compatibilità di corporatura, occhi e capelli: corporatura, altezza, colore degli occhi e dei capelli vengono scelti in modo da risultare armonici con quelli della donna che porterà avanti la gravidanza. Ciò aiuterà a creare continuità estetica e familiare.
- Esclusione di malattie genetiche: le donatrici vengono sottoposte a un’accurata valutazione anamnestica e a test genetici certificati, che consentono di escludere le principali patologie ereditarie.
- Criteri legali e normativi: il processo avviene nel rispetto delle normative nazionali e internazionali relativamente a limiti sul numero di donazioni, idoneità clinica, protocolli di sicurezza e tracciabilità sanitaria.
Cosa non è previsto per legge
Per garantire tutela, sicurezza e totale imparzialità, in Italia la normativa sull’ovodonazione prevede alcuni limiti molto chiari. La coppia non può conoscere l’aspetto della donatrice: non sono consentite fotografie, descrizioni dettagliate o informazioni che possano renderla identificabile. Questo principio si lega direttamente all’anonimato, un elemento cardine del percorso. La donazione di ovociti è protetta da regole stringenti che tutelano sia la donatrice sia i futuri genitori, e le uniche informazioni condivise sono quelle cliniche e fenotipiche utili al corretto matching.
La somiglianza: un concetto complesso
Sebbene la somiglianza sia spesso percepita come un riflesso diretto del legame genetico, il rapporto tra mamma e bambino nasce e si consolida ben prima di qualunque tratto fisico. Durante la gravidanza si crea un’intimità biologica e affettiva che nessun test genetico può misurare: è fatta di segnali cellulari, ritmi condivisi, risposte emotive e un dialogo costante tra corpo materno e feto.
Pensare che un figlio “somigli” solo attraverso il DNA significa ridurre la complessità di questo legame a un unico fattore, quando invece, come abbiamo visto, la maternità è fatta di un’infinità di connessioni. Anche nelle gravidanze da ovodonazione, la mamma partecipa attivamente allo sviluppo del bambino, orientando la sua salute e il suo benessere fin dal concepimento.
Per questo la somiglianza, quando c’è, non è un fatto sorprendente ma il risultato naturale dell’interazione tra geni ed esperienza prenatale. Soprattutto, non va considerata un criterio di valore. La relazione che si costruisce giorno dopo giorno, durante la gravidanza e oltre, è ciò che definisce davvero il legame genitore-figlio: un legame che nasce nel corpo, si nutre nelle emozioni e cresce nella vita quotidiana, indipendentemente dall’origine degli ovociti.
Ovodonazione oggi: quante coppie vi ricorrono e perché
Il numero di coppie che ricorre all’ovodonazione è in costante crescita. Da un lato, l’età media in cui si cerca una gravidanza è aumentata, e con essa la probabilità di incontrare difficoltà riproduttive. Dall’altro, è aumentata la consapevolezza sull’importanza della salute riproduttiva e sulla possibilità di tutelarla in anticipo attraverso strumenti come il social freezing, oggi sempre più scelto da donne che desiderano preservare la propria fertilità per il futuro.
Non tutte le Regioni offrono però un accesso omogeneo alla procreazione medicalmente assistita eterologa: in molte aree d’Italia l’ovodonazione non è ancora coperta dal sistema sanitario, spingendo numerose pazienti a rivolgersi a centri privati o a strutture specializzate all’estero. Ciò contribuisce a spiegare l’aumento della domanda e la ricerca di percorsi chiari, personalizzati e fondati su evidenze scientifiche.
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